Fisco. La Guardia di Finanza di Forlì smantella una maxi frode, evasione IVA da 60 milioni

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La Guardia di Finanza e l’Ufficio delle Dogane di Forlì hanno smantellato una maxi frode da 60 milioni di euro all’Iva nel settore della vendita di prodotti di elettronica, telefonini e computer nelle province di Forlì-Cesena, Parma, Reggio Emilia, Ferrara, Bologna e Rimini

 

Secondo quanto riportato in una nota dell’agenzia AMA/DIRE che riferisce fonti delle “Fiamme Gialle”, l’indagine è nata «a seguito della verifica dell’Agenzia delle dogane di Forlì su una societa’ forlivese operante nel commercio all’ingrosso di elettronica, che evitava sistematicamente di versare l’Iva all’Erario».

 

La Pubblica Ministero forlivese Sara Posa ha quindi incaricato il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di verificare se il mancato pagamento «nascondesse un comportamento criminale da parte degli amministratori». È così emersa «una vera e propria organizzazione criminale che faceva capo all’amministratore della societa’ forlivese (il 52enne M. P., residente a Sasso Marconi, in provincia di Bologna)», che oltre a non versare l’Iva «si procurava anche inesistenti crediti Iva attraverso l’utilizzo e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, secondo il sistema della cosiddetta ‘frode carosello‘, che prevede l’interposizione tra il soggetto venditore e l’effettivo destinatario finale di una o piu’ aziende fittizie (le cosiddette “cartiere”)».

 

Complessivamente, nel sistema sarebbero coinvolte «36 società totalmente inesistenti o che comunque emettevano fatture per operazioni inesistenti». Molte di queste (12) sono state anche «dichiarate fallite, o hanno cessato l’attività dopo aver accumulato una forte esposizione con l’Erario per il mancato versamento dell’Iva».

 

Anche la società forlivese era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Forlì nel novembre 2015, dopo aver maturato debiti «per oltre 58 milioni di euro, di cui quattro verso fornitori e 54 verso l’Erario». Con questo sistema la società forlivese, che aveva raggiunto un volume d’affari tra i 25 e i 30 milioni all’anno, aveva creato un giro di fatture false «per 60 milioni di euro, che si procurava dalle altre società dell’organizzazione, intestate per lo più a prestanomi, che le permettevano di dedurre i costi sostenuti e di beneficiare indebitamente dei crediti Iva maturati», mentre le società dei prestanomi «non presentavano alcuna dichiarazione fiscale».

 

I documenti trovati nel corso delle perquisizioni domiciliari eseguite, in diverse province emiliano-romagnole, hanno permesso ai finanzieri di «ricostruire, oltre al meccanismo fraudolento, anche il patrimonio accumulato nel tempo».

 

Da parte sua la Giudice per le Indagini Preliminari di Forlì, Monica Galassi, ha emesso un decreto di sequestro preventivo attraverso il quale “è stata disposta l’applicazione della misura cautelare sulle disponibilità liquide nei conti correnti o depositi bancari e postali, oltre che sui beni mobili e immobili intestati agli indagati o comunque nella loro disponibilità. Il sequestro preventivo è stato confermato in sede di riesame, e tra i fabbricati sequestrati spiccano due ville di pregio, una sulle colline bolognesi e l’altra nel Comune di Riccione.

 

Complessivamente, conclude la nota delle Fiamme Gialle, i reati contestati «vanno dall’utilizzo ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, omessa presentazione della dichiarazione dei redditi ed IVA, bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale, ed utilizzo e vendita di sostanze dopanti».

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