Uno Bianca, i familiari delle vittime non accettano il permesso ad Alberto Savi: “E’ una vergogna”

Il più giovane dei fratelli riminesi fuori dal carcere a Pasqua, dura reazione della madre di uno dei carabinieri uccisi al Pilastro: "I benefici dei giudici a queste persone sono un'indecenza, ci si è dimenticati di quello che hanno fatto. Ascoltano più loro che noi"

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La banda della Uno Bianca, tristemente protagonista delle cronache tra gli anni ’80 e ’90, con ben 103 delitti (e 24 morti) in Emilia-Romagna e nelle Marche, torna a scatenare polemiche, per il permesso concesso in occasione della Pasqua ad Alberto Savi, uno dei membri della temuta organizzazione criminale. Tre giorni e mezzo per le feste, con la possibilità di uscire a pranzo il giorno di Pasqua. 

Non è la prima volta che Alberto Savi, il più giovane dei tre fratelli riminesi della banda, può usufruire di un beneficio: detenuto dal 1994, sconta l’ergastolo ma il suo percorso detentivo, in carcere a Padova, parla di pentimento e reinserimento e la sua posizione è meno pesante di quella dei fratelli Roberto e Fabio. Ma i familiari delle vittime non lo accettano. “E’ una vergogna, un’indecenza”, ha commentato Anna Maria Stefanini, mamma di Otello, il carabiniere ucciso il 4 gennaio 1991 insieme ai colleghi Andrea Moneta e Mauro Mitilini dal gruppo criminale, in quella che poi prese il nome di ‘Strage del Pilastro’.

La donna, che ogni anno partecipa alla commemorazione dell’eccidio, non vuole sentir parlare di sconti o benefici per i killer: “Non so come fanno questi giudici a dare agevolazioni a persone che hanno fatto quello che hanno fatto. Noi – aggiunge parlando con l’agenzia Ansa – la pensiamo così e non ci ascolta nessuno. Mio figlio aveva 22 anni e tre mesi e io da allora porto fiori al cimitero”.

E se Alberto Savi, come riportato da Il Mattino di Padova che lo ha intercettato in strada insieme alla compagna, non ha voluto parlare, dicendo che altrimenti “rischiamo di fare del male a tante persone…”, Stefanini ha replicato: “Poverino… Non ho parole. Male alle persone lo hanno già fatto e nessuno ce lo leva per tutta la vita. Ci si è dimenticati di quello che hanno fatto. Ascoltano più loro che noi, le vittime non contano niente”.

Polemiche simili c’erano state a febbraio 2017, quando ad Alberto erano state concesse 12 ore di libertà, passate in una comunità protetta. La rabbia dei familiari delle persone uccise dal gruppo criminale si è fatta proposta: “Si parla sempre dei detenuti, ma parliamo anche delle nostre vittime. Tutte le volte che ci muoviamo oppure che ci sono le ferie loro sono sempre a chiedere qualcosa”, aveva detto nei mesi scorsi la presidente dell’associazione Rosanna Zecchi, chiedendo di cambiare le norme sui permessi premio.

“Fatto salvo il rispetto per le autonome decisioni della autorità competenti, non si può ignorare come la comunità bolognese sia turbata dal riaprirsi di antiche ferite mai rimarginate”, ha detto la presidente dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna Simonetta Saliera, esprimendo “vicinanza e solidarietà” ai familiari delle vittime.

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