San Marino, elezioni politiche 2016: domenica in 34mila alle urne. Intervista all’economista Zamagni

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L’intervista all’economista Professor Stefano Zamagni, che dichiara: “Auspicabile continuità di governo”.

Professor Zamagni, negli ultimi anni la Repubblica di San Marino è uscita dalla black-list italiana e più in generale si è scrollata di dosso la vecchia immagine di paradiso fiscale off-shore. E’ inoltre partito il negoziato per l’associazione all’Unione Europea. Come giudica questi risultati e i passi compiuti dal governo?
“L’uscita dalla black list è una buona e bella notizia che fa onore a chi si è battuto contro una deriva alimentata da quei cattivi maestri, secondo i quali la ricchezza si produce con la rendita finanziaria di tipo speculativo. San Marino non era mai stato un paradiso fiscale off-shore, ma lo è diventato per aver seguito suggerimenti certamente non disinteressati cui i sammarinesi hanno dato ascolto in maniera troppo acritica. La fonte della ricchezza non può che essere il lavoro, non certo l’azzardo o la speculazione finanziaria. E’ una buona notizia anche l’avvio del negoziato per l’associazione all’Unione Europea, accordo che spero sia raggiunto a breve, sul modello di quello siglato dalla Norvegia. E’ questo un Paese non membro che ha saputo siglare un accordo che consente di avere i sostanziali vantaggi dei membri dell’Unione. Mi auguro che San Marino voglia seguire questo percorso, dando continuità alle politiche intraprese dal governo”.

Che cosa propone?
“Ora che a livello istituzionale è stata battuta l’immagine opaca, bisogna modificare la cultura della rendita. Per cambiare un provvedimento basta un atto di governo, ma per cambiare le mappe cognitive di una comunità ci vuole tempo. Occorre uno sforzo culturale di ampio respiro, che San Marino può compiere puntando anzitutto sull’educazione nelle scuole e soprattutto sull’Università. Bisogna che l’Università venga maggiormente valorizzata. Dobbiamo anche domandarci quanto l’Università restituisce al Paese, quale ricaduta ha sul territorio nazionale. Mi risulta che nessuna indagine di questo tipo sia stata fatta finora, mentre in altri Paesi queste analisi si fanno ogni tre anni, verificando quale sia l’impatto sul territorio non solo economico ma anche culturale e sociale dell’Università. Una Università non può ridursi a un corsificio, sia pure di alto livello” e ancor meno ad un esamificio.

Dal punto di vista economico e produttivo, qual è il passo che attende il Paese?
“Occorre che San Marino trovi una sua strategia di business. Una volta abbandonata la strada imperniata sui servizi finanziari, tenuto conto che il turismo può ancora crescere ma non oltre i limiti strutturali segnati dalla capacità ricettiva, tenuto conto che anche il settore agricolo non può crescere più di tanto, bisogna che San Marino trovi una sua collocazione nella divisione internazionale del lavoro. Penso alla Quarta rivoluzione industriale, l’industria 4.0. Oggi questa rivoluzione è in grado di consentire anche a un Paese come San Marino di ospitare attività ad alto valore aggiunto. Anziché puntare su grandi economie di scala, il Paese deve puntare su economie di scopo, dove la creatività e l’inventività facciano aggio rispetto ad altri elementi. L’ambiente di San Marino è ideale per questo! Valga il paragone con la Silicon Valley: tutto è nato in un piccolo insediamento, e nel volgere di poco tempo quel luogo è stato capace di fare miracoli. Perché San Marino non potrebbe fare altrettanto? Per la localizzazione, le caratteristiche e la storia San Marino lo può fare. Inoltre è capace di dare fiducia agli investitori perché c’è molta meno burocrazia che altrove”.

Concretamente come si può fare?
“Creando un gruppo di lavoro di esperti che individui il segmento su cui intervenire. Penso ai processi di meccatronica: San Marino sarebbe l’ambiente ideale, però occorre che si faccia un preciso studio di fattibilità e che, poi, si generi una convergenza di consensi verso il progetto. Questa è la prospettiva che intravvedo. Diversamente, se la ricchezza che una volta era generata dalla finanza non viene rimpiazzata da altre attività generatrici di reddito, si creerebbero seri rischi”.

Come giudica le prospettive della politica a San Marino?
“Ho una ultima raccomandazione: San Marino dovrebbe sperimentare la transizione dal modello di democrazia elettorale a quello di democrazia deliberativa. Nel modello elettorale, il gioco politico si riduce all’acquisizione del consenso; è il modello che Max Weber definiva elitistico-competitivo, un modello oggi ampiamente superato. Bisogna andare verso la democrazia deliberativa, che significa fare intervenire nei grandi processi decisionali la società civile organizzata, indipendentemente dalle appartenenze partitiche, dando vita ad appositi forum deliberativi. Questi sono regolati al loro interno in modo tale che si arrivi in un breve lasso di tempo ad una piattaforma che verrà inviata all’organo di governo. Nel caso il governo ritenga di non allinearsi o di non ottemperare a quella delibera, deve darne ragione. Questa è la quintessenza del modello di democrazia deliberativa. Un Paese come San Marino lo può attuare: sarebbe un contributo notevole per gli altri paesi: i libri e i media del mondo ne parlerebbero. E’ in ciò la vera idea del popolarismo, ben diverso dal populismo. Se San Marino non lo fa, chi altri dovrebbe farlo?”.

 

 

IL SEGRETARIO POLITICO DEL PDCS MARCO GATTI: “IL POPOLARISMO E’ ALTRA COSA DAL POPULISMO”

Commenta Marco Gatti, segretario politico del Partito Democratico Cristiano Sammarinese (PDCS):
“Le considerazioni e le proposte del professor Zamagni sono assolutamente in sintonia con l’evoluzione storica del nostro partito, in particolare la sottolineatura che evidenzia la differenza tra popolarismo e populismo, inserita all’interno di un nuovo percorso che auspichiamo prenda la politica. Ci ritroviamo pienamente come in questa evoluzione di partecipazione dal basso perché è la strada che ha segnato la crescita del nostro Paese e che negli ultimi anni ci ha trovati in prima linea nella condivisione con tutte le forze sociali sui temi più importanti. Perciò la prospettiva indicata da Zamagni è come una ulteriore evoluzione inscritta nel DNA del PDCS. La partecipazione non è l’ingessamento burocratico nei referendum ma un reale desiderio e una reale capacità di gestire la condivisione operativamente, attraverso una valorizzazione di tutti gli elementi che definiscono il bene comune”.

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